
L’Enfant
Rassegna Cinema Kairos Donna
Sguardi al femminile. L’altalena emotiva della maternità.
14 dicembre 2016 – Cinema Teatro Esperia, Padova
“L’Enfant: una storia d’amore” di Jean-Pierre e Luc Dardenne
(Francia, Belgio, 2005), Palma d’Oro al 58°Festival di Cannes
“Il culmine dell’identità è la distinzione, il culmine dell’amore è l’alterità personale pienamente realizzata nel rapporto, il culmine della giustizia è il faccia a faccia con l’altro, che è tutto ciò che impedisce di ridurre l’altro a sé spogliandolo della sua identità”
(Emmanuel Levinas)
Si è conclusa con successo la Rassegna Kairos Donna con la proiezione del film “L’enfant” dei fratelli Dardenne. “Si tratta del film più compiuto dei due registi belgi” ha affermato l’ospite della serata, il Filosofo Umberto Curi.
Quest’ultima pellicola ha introdotto un tema che, nei film precedenti, era rimasto sullo sfondo: il padre. Lo fa in un modo, se vogliamo, paradossale: la vicenda, infatti, narra di Bruno e Sonia, una giovane coppia, e del loro neonato Gimmy.
Lo scenario della vicenda è quello tipico dei film dei Dardenne: il bacino industriale nella regione di Liegi e Seraing, attraversato dal fiume Mosa.
Nei loro film i registi, sullo sfondo della desertificazione industriale, hanno puntato la macchina da presa su quelli che potremmo definire “i sopravvissuti”.
Lo scopo del loro lavoro sembra essere quello di trovare nell’individuo una coscienza che gli permetta di agire eticamente, nonostante le drammatiche condizioni di vita.
“L’enfant” racconta il percorso esperienziale e psicologico di Bruno, che gli permette di trovare questa coscienza. Il titolo marca la sostanza etica della storia: “l’enfant” s’identifica, ad una prima lettura, con Gimmy, il neonato, ma, nei successivi snodi narrativi, risulta evidente che “l’enfant” è anche Bruno. Questo giovanissimo padre, che vive di espedienti e di traffici illeciti, agisce senza pensare, spinto dal bisogno di denaro, fino al punto di compiere un gesto inqualificabile: la vendita del figlio all’insaputa della madre.
Quest’atto è il punto di svolta nel film e nella vita di Bruno, dopo questo nulla potrà essere come prima. Sonia, anche lei giovanissima, ma un po’ più in grado di gestirsi, vive di un sussidio statale e ha una casa ma, soprattutto, è capace di amare e, fino a quel momento, sperava che anche Bruno lo fosse. Nonostante l’immaturità del compagno e la sua riluttanza a lavorare, che considera “roba da coglioni”.
Sonia sembra perdonargli qualunque cosa in ragione dell’amore, seppure acerbo, che prova per lui e per il suo bambino. Bruno per la prima volta si trova di fronte ad un limite invalicabile: Sonia lo denuncia, lo rifiuta e, ritrovato il figlio, se ne vuole prendere cura da sola.
Sarà questo primo limite e la solitudine che ne segue a innescare in Bruno una progressiva trasformazione, che gli permetterà di assumersi la responsabilità delle proprie azioni, il peso della colpa e di autodenunciarsi, sollevando Steve, altro “enfant”, suo complice quattordicenne, dalla responsabilità di una rapina. Una volta in carcere, altro limite fisicamente invalicabile, sarà finalmente in grado di sviluppare un pensiero di riconoscersi e di volgere alla fine lo sguardo verso l’altro riconoscendolo come differenziato da sé.
I vari piani di lettura del film sono stati presentati dal Professor Curi in un crescendo di profondità, a partire dal piano politico-sociologico contemporaneo, sottolineando il progressivo impoverimento dei ceti sociali nel mondo occidentale, fino ad arrivare all’impoverimento dell’anima, non più sostenuta da una rete che la alimenti di contenuti eticamente validi. Ecco che la desertificazione ambientale rappresenta il costante rischio di desertificazione interiore. Ma i registi riescono ad arrivare a quella piega dell’anima del protagonista che consente di aprire alla speranza.