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Infanzia protetta

Abbiamo perso l’idea che l’infanzia va protetta?

 

Dopo secoli in cui l’infanzia non veniva riconosciuta come periodo degno di attenzione ma solo una fase di transizione verso l’età adulta, ed era perciò sottoposta ad un’educazione rigidamente adultocentrica,  nell’ultimo secolo si è arrivati a dare grande importanza a questo periodo della vita, a studiarne la specificità e a predisporre mirati interventi di sviluppo.

Un tempo l’abbandono, l’infanticidio, la vendita, la schiavitù, l’istituzionalizzazione erano pratiche comuni nei confronti dei bambini, ora ne vengono riconosciuti i diritti peculiari, in particolare con la Dichiarazione Onu dei Diritti del bambino nel 1959, e con la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel 1989 (unico stato a non averla sottoscritta: gli Usa).

Il primo documento della Società delle Nazioni è la Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo del 1924, ma nonostante queste enunciazioni assistiamo al permanere di condizioni di incuria, maltrattamento, sfruttamento, tanto che il 2014 risulta essere un anno drammatico per la violenza sui minori ( Fonte Onu).
Imponenti i numeri del mal-trattamento dell’infanzia, che avviene soprattutto all’interno delle famiglie sotto forma di trascuratezza, violenza psicologica abuso fisico o sessuale.

Talora si tratta di comportamenti di iper-protezione, quando “per troppo amore” si educa il bambino secondo proprie esigenze e gli si impedisce di fare esperienze di autonomia, scoperta, relazioni fuori casa. Anche assistere a liti familiari, alla violenza domestica, ne danneggia lo sviluppo, esponendolo ai sensi di colpa, a vissuti di rabbia, di impotenza. La violenza familiare in genere viene nascosta, e sottovalutata, perché avviene nel contesto più intimo e privato, la famiglia, dove i figli, ma anche le donne, come rivelano le cronache, sono considerati un possesso.

Ma i figli non sono solo i nostri figli, come dice il poeta Gibran, “sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita”, “dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono”, sono gli adulti di domani, il nostro futuro: il loro rispetto e la loro educazione riguarda quindi l’intera nostra società.

Perché la violenza, in quanto esperienza traumatizzante, crea una catena intergenerazionale: i bambini che l’hanno subita o vi hanno assistito tenderanno a riprodurre quel modello diventando adulti maltrattanti, mentre le ragazze più frequentemente potranno avere comportamenti sottomessi e passivi, cercarsi partner violenti, incorrere in gravidanze precoci, e potranno esprimere il disagio emotivo attraverso forme di anoressia e bulimia, o l’uso di sostanze.

In questo particolare momento storico a livello mondiale è doveroso parlare di nuove gravi forme di violenza, come quella che riguarda l’utilizzo dei bambini soldato (si calcola che siano 250.000 nel mondo) che non hanno più diritto all’infanzia e si porteranno per sempre le ferite di guerre cui sono costretti; o quelle della pedopornografia e del turismo sessuale, in cui l’Italia ha il vanto di essere ai primi posti per frequentazione.

Per ultimo vorrei ricordare i bambini vittime di guerre, traumatizzati dalla paura e dalle perdite di sicurezza, di integrità fisica, di cure, di luoghi conosciuti e di persone care; e i profughi sparsi nella nostra Europa e in Medio Oriente, spesso minori non accompagnati, che vivono ai margini, non protetti, e in molti spariscono nel nulla, o entrano nella microcriminalità.

 



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