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Adolescenti e relazioni violente

Lorena Garzotto

 

L’adolescenza è un periodo di crescita tumultuoso, ma anche un tempo di occasioni di imparare nuovi comportamenti, o di modificare quelli disadattivi, spesso appresi all’interno della famiglia.

Le ricerche internazionali (Romito, 2005) e i dati raccolti da una ricerca in una regione italiana (Romito et al. 2007), dimostrano che i giovani si confrontano in modo pervasivo con la violenza, subita o assistita; violenza fisica, psicologica o sessuale; violenza in famiglia, nella coppia, e anche tra pari, ambito in cui spesso viene genericamente confusa col bullismo.
Negli Stati Uniti, dal 10 al 25% degli adolescenti risulta vittima di coercizione fisica o sessuale all’interno di una relazione, e in particolare di abuso emotivo.
Nel Québec il 54% delle ragazze e il 13% dei ragazzi delle superiori ha subito qualche tipo di abuso sessuale da un/una partner: le femmine con livelli di violenza più gravi (Romito, Beltramini, Escribà-Agüir, 2013).

Mentre in tempi recenti è stata più studiata la violenza di genere nei confronti delle donne, quella all’interno delle giovani coppie è una realtà poco indagata, anche se nei contesti sociali di stampo occidentale essa appare piuttosto diffusa: questo dato è preoccupante, perché nell’adolescenza si struttura o si può modificare il modello per le relazioni adulte, e perché può costituire un problema per la salute mentale, in quanto aumenta il rischio di andare incontro a disturbi psico-fisici di vario genere.
E’ sostenuta e incoraggiata da pregiudizi e stereotipi di una cultura che persiste nonostante l’apparente cambiamento di costumi, e dalla trasmissione di comportamenti che fungono da modello.

La teen dating violence viene definita come forma di “Aggressioni fisiche o atti che causano un danno e che includono l’abuso psicologico o emotivo, verbale e non, e che si verificano in situazioni private o sociali che differiscono dalla violenza domestica principalmente per il fatto che la coppia non è legata da vincoli di sangue o dalla legge” [Ely, 2002].

In Italia la problematica della violenza in famiglia e nella coppia in relazione alla salute è stata indagata nella Regione Friuli dal Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste in collaborazione con la Commissione Pari Opportunità, attraverso una ricerca condotta nelle scuole Superiori: 726 studenti delle classi quinte, 396 ragazze e 330 ragazzi hanno risposto a questionari anonimi autosomministrati sulle esperienze di violenza sia nella famiglia che nella coppia, e su come esse siano vissute e percepite (Romito, Paci, Beltramini, 2007).

Dei focus group, cioè gruppi di discussione a tema, e interviste individuali, fatti con studenti di classi seconde e terze delle superiori, hanno permesso di approfondire e analizzare le credenze e i pregiudizi sulla violenza, e le opinioni personali sul rapporto tra i generi e la sessualità. Sono emerse riflessioni assai interessanti sulla diffusione del problema, sugli stereotipi, sulla prevalenza di genere, sul legame tra violenza in famiglia e nelle relazioni adolescenti, su cosa sia percepito come comportamento violento.
Le ragazze risultano le vittime principali delle violenze in coppia, sotto forma di gravi abusi psicologici, modalità di controllo da parte del partner, vere e proprie violenze fisiche, e pressioni, molestie e franche violenze sessuali; esperienze che suscitano vissuti di rabbia, sofferenza, umiliazione, paura, dolore, mentre al contrario i ragazzi che hanno subito violenza affermano che la cosa li lascia indifferenti, o li fa ridere.
Questa risposta fa pensare allo stereotipo maschile, ancora diffuso come vedremo, di uomo forte che non prova dolore e non riconosce la fragilità.

 

Definire la violenza nelle relazioni

Mentre da alcune ricerche risulta che le ragazze adolescenti possono essere altrettanto violente dei maschi, Romito sottolinea che spesso ciò risulta dall’utilizzare una ristretta definizione di violenza interpersonale, che non include l’abuso sessuale o emotivo (Romito, Beltramini, Escribà-Agüir, 2013).
E’ importante infatti definire che cosa è un comportamento violento e come si possa misurarlo, oltre che indagare il modo in cui i giovani stessi lo percepiscono e lo definiscono: solo se certi comportamenti vengono categorizzati come molestie o violenze sessuali è possibile per i ragazzi sapere qual è il limite, valutare l’impatto della violenza su di sé e sugli altri, e prendere decisioni appropriate.
Nello studio dell’Università di Trieste, i focus group hanno identificato specifici comportamenti di dominazione e controllo all’interno della coppia in genere non considerati tali dai ragazzi, anzi segni di amore e interessamento, come impedire al/la partner di fare certe cose (frequentare qualcuno, vestirsi in un certo modo, ecc.), o come voler sapere l’altro/a dov’è, cosa fa e con chi è: “mi telefona in continuazione quindi mi ama”.
Le violenze psicologiche comprendono il fare commenti umilianti, trattare male, umiliare, denigrare, e le minacce. Tra le violenze fisiche troviamo il fare scenate violente, danneggiare le cose dell’altro/a, alzare le mani, dare spintoni o schiaffi, dare pugni, calci, colpire con un oggetto. Le violenze sessuali comprendono il fare pressioni, minacciare o ricattare per avere rapporti sessuali (“se non lo facciamo mi lascia”); cercare di imporre di usare/non usare un certo tipo di contraccettivo; lo stupro o il tentato stupro (Romito et al. 2007).

Come sappiamo la violenza sessuale non avviene solo in coppia: il 10,9% dei maschi e il 26% delle femmine riporta molestie sessuali, compiute da uno o più aggressori. Le ragazze subiscono più spesso molestie multiple, perpetrate nella quasi totalità da uomini, soprattutto da persone conosciute: amici di famiglia, vicini, da coetanei, da “fidanzati” e da familiari (padre, zio …). Mentre la stessa percentuale di maschi e femmine sperimenta qualche tipo di violenza nella propria vita, le ragazze la subiscono a livelli più estremi (Romito, Beltramini, Escribà-Agüir, 2013).
La violenza emotiva da parte di un partner è altrettanto dannosa di quella fisica e sessuale, e tutte hanno un impatto sulla salute: possono portare infatti al rischio di andare incontro a depressione, disturbi alimentari, attacchi di panico, pensieri suicidi, sia per i maschi che per le femmine, quest’ultime con un rischio raddoppiato (Romito & Beltramini, 2013).

Tuttavia è necessario prendere in considerazione anche la violenza in famiglia come prima esposizione alla violenza relazionale. Nella ricerca italiana emergono dati piuttosto allarmanti sulla sua diffusione, peraltro non collegata come si potrebbe invece pensare, al livello di istruzione dei genitori degli intervistati: il 40% dei ragazzi ha sperimentato almeno una delle quattro tipologie di violenza considerate – fisica o psicologica, subita o “assistita”, all’interno della famiglia, un dato che pone molti interrogativi. Quasi 1 su 10 (8%) ha subito violenza fisica dal padre, o ha visto il padre picchiare la madre; il 18% ha visto il padre insultare, denigrare, minacciare la madre.

Ciò ha conseguenze sugli indicatori di salute mentale considerati, tra cui i pensieri suicidi e i tentati suicidi; rende inoltre maschi e femmine più vulnerabili a subire violenze nella coppia e violenze sessuali, sembra cioè preparare il terreno per le successive violenze nella coppia, oltre che compromettere le relazioni di coppia adulte.
E’ difficile dire se l’alto indice di problemi di salute mentale portato dagli adolescenti vittime di violenza di coppia sia attribuibile a questa o ad altri tipi di abuso subito già in famiglia (Romito, Beltramini, Escribà-Agüir, 2013).
La violenza familiare o la trascuratezza (neglect) sembrano predisporre a successive esperienze di vittimizzazione, sia nella relazione di coppia che nella forma di aggressioni sessuali subite, e ciò vale per i entrambi i generi (Romito & Grassi, 2007).

In particolare le ragazze che hanno vissuto forme di violenza in famiglia, sia assistita che subita, presentano un più alto rischio di andare incontro a gravi maltrattamenti nella propria coppia: subiscono violenze dal partner il 26,1% delle ragazze che hanno assistito a maltrattamenti fisici in famiglia, contro il 6,6% delle ragazze che non vi hanno assistito.
Tendono inoltre a entrare prima in una relazione di coppia rispetto a chi non ha fatto questa esperienza. Mentre per i maschi costituisce un fattore di rischio per acquisire un modello di comportamenti maltrattanti da adulti.

 

Segnali di disagio legati alla violenza interpersonale

La violenza nelle relazioni porta una sofferenza che quasi mai viene comunicata verbalmente: in un periodo della vita in cui i ragazzi non si confidano facilmente, è importante per i genitori, gli insegnanti, e chiunque se ne prenda cura, prestare attenzione ad alcuni possibili segnali di disagio:

L’adolescente vittima di violenza può:
– Smettere di fare cose che prima amava fare
– Avere poco o nessun interesse nelle attività di famiglia
– Avere difficoltà a dormire
– Avere problemi di memoria e/o concentrazione
– Non voler andare a scuola o avere voti peggiori
– Isolarsi
– Soffrire di bassa autostima, nervosismo, depressione
– Ricorrere a comportamenti alimentari eccessivi (abbuffate, restrizioni alimentari, uso di lassativi ecc.)
– Presentare tagli inspiegabili, lividi, graffi, scottature, morsi

Questi sintomi possono avere più cause, ma sono frequenti tra chi ha subito (o assistito a) violenze. (Beltramini, 2014)

Ma quali sono le percezioni degli adolescenti rispetto alla violenza interpersonale?

Nei focus group tutti si dichiarano d’accordo che la violenza sulla donna è esecrabile e che lo stupro è orrendo e umiliante, ma fanno fatica a distinguere quali siano i comportamenti violenti, dove sta il limite tra violenza vera e propria e atteggiamenti accettabili. Sono gli stessi ragazzi a raccontare come una cosa normale il fatto che spesso fanno pressioni sulle ragazze per ottenere un rapporto sessuale anche se esse non lo desiderano.

Sembra già radicata, a questa età, l’idea di un rapporto di coppia in cui l’altro ti appartiene. Le ragazze subiscono anche più forti pressioni e controlli sui comportamenti, sulle amicizie, sull’abbigliamento; cercano di andare incontro alle aspettative del partner, anticipandone i desideri per non scontentarlo, secondo il modello antico “sono come tu mi vuoi”.

Viene in superficie una adesione a modelli culturali che contengono gli aspetti più negativi della femminilità e della mascolinità, in cui comunque il maschio ha più potere:  “quando si parla tra ragazze, le idee di un ragazzo valgono sempre di più di quelle di una ragazza…”; “me dava un po’ fastidio in effetti perché comunque se io critico il maschio lui si arrabbia se un maschio critica una femmina lei deve stare zitta (…) le femmine in generale … possono stare zitte oppure rispondere tipo ma vai a farti un giro dopo però vanno a casa a piangere”.

Fino a giustificare la violenza: “mi ha colpito perché era ubriaco”, “Sì alla fine è anche colpa delle ragazze”, “No non è giustificabile però dici non mi fai pena te la sei andata un po’ a cercare (…) se tu sei una ragazza che si veste sempre col collo alto e hai i pantaloni lunghi voglio vedere se a qualcuno viene in mente …che tu possa essere …” (Romito et. al. 2013)

 

L’immaginario sessuale

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Ascoltando i ragazzi riconosciamo un processo che viene definito Re-genderization, ovvero la ritradizionalizzazione dei ruoli sessuali. Nei pensieri delle ragazze appaiono concetti che si pensavano superati, come il valore dato alla “reputazione” e alla verginità, come se non si percepisse il diritto ad esercitare un comportamento sessuale secondo desideri propri, ma secondo l’immagine che si aspettano gli altri.

In entrambi i generi emerge una visione fortemente stereotipata, in cui accanto al modello dell’uomo “macho”, che deve fare sempre la prima mossa e avere più ragazze possibili, e che crede che “Gelosia e possesso sono qualità accettabili e desiderabili”, si presenta l’immagine interiore della ragazza disponibile, seduttiva e in competizione con le altre per la conquista dei maschi, per nulla solidale.
Le ragazze vivono, infatti, un doppio controllo: da parte del “fidanzato” ma anche delle compagne, che appaiono molto critiche e sanzionatorie sui comportamenti femminili altrui.

Dai questionari i maschi appaiono più “tradizionalisti” delle femmine: pensano più spesso che la violenza nella coppia sia accettabile e fanno propri i più esecrabili pregiudizi sullo stupro.
Ad es., molti sono d’accordo con l’affermazione “A molte donne piace essere forzate fisicamente a fare sesso”, e ritengono che l’uomo non sia responsabile della violenza: “La violenza accade quando l’impulso sessuale sfugge al controllo dell’uomo”.
Ma, comunque, per la parità dei generi, ben il 42% dei ragazzi e il 30% delle ragazze sono d’accordo che: “A un ragazzo fa sempre piacere essere provocato sessualmente”.

Nel quadro generale non proprio incoraggiante sulle convinzioni degli adolescenti troviamo anche alcuni aspetti di sessualità brutale, come le cronache purtroppo evidenziano, ad esempio il sesso consumato nei bagni della scuola o della stazione come merce di scambio (per un cellulare, una ricarica, per denaro…).

Il 27% dei giovani intervistati dichiara di conoscere qualcuno, sia maschio che femmina, che fa sesso in cambio di qualcosa, e una parte ammette anche di averlo fatto di persona. Il consumo di pornografia che riguarda soprattutto i maschi è inquietante, soprattutto per la sua qualità: il 24% di essi ammette di guardare materiale con “sesso violento”, o con atti di umiliazione grave nei confronti della donna (35%), o gode della violenza che le viene inflitta (33%).
Considerano questo materiale divertente ed eccitante, e purtroppo utile (!) per imparare qualcosa sul sesso (Romito et al. 2007). Occorre dire che per fortuna ci sono tra i giovani intervistati alcuni che hanno espresso il desiderio di nuovi modelli di riferimento, con caratteristiche di parità tra i generi e maggior rispetto.

Ci si domanda quanta influenza possono avere sui comportamenti dei nostri ragazzi le immagini a sfondo sessuale, spesso intrise di contenuti o modalità violente, che ci vengono imposte dai mass-media, in particolare dalla pubblicità, la sessualizzazione sempre più precoce del corpo femminile e dei comportamenti, di bambine con abbigliamento o atteggiamenti seduttivi, quasi di “porno-soft, e infine i modelli pervasivi di mascolinità sicura e arrogante e di femminilità solo seducente e non pensante.

Le esperienze familiari, le convinzioni, gli stereotipi, i modelli della velina e del tronista, l’idea che la donna e i figli siano un possesso, costituiscono il terreno culturale in cui nascono sia le violenze domestiche che nella coppia, e occorre lavorare con la famiglia, con la scuola e con gli adolescenti per rendere consapevoli i modelli e gli stereotipi e portare un cambiamento di mentalità, favorendo anche una maggiore salute mentale.

 

 

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