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Le mani della madre

 

Desiderio fantasmi ed eredità del materno

Massimo Recalcati – 2015, Feltrinelli
Recensione di Susanna Nava
Come psicoterapeuta e mamma da poco per la seconda volta, mi ritrovo piacevolmente sorpresa nello scoprire il nuovo libro dello psicoanalista Massimo Recalcati, Le mani della madre. Desiderio fantasmi ed eredità del materno, libro uscito nel maggio 2015.
Finalmente l’autore tratta anche delle luci ed ombre della funzione materna, dopo aver esplorato in diversi scritti il ruolo del padre in un’ottica non più del figlio rivale Edipo ma del nostalgico Telemaco, che aspetta il ritorno della Legge del padre, ed aver analizzato le relazioni di amore non solo come potenziamento narcisistico ma, proprio attraverso l’esperienza del tradimento e del perdono, come capacità di dipendenza ed accettazione della libertà del desiderio dell’Altro.

Ora Recalcati arriva alle origini della relazione d’amore, tratta del primo oggetto d’amore, la madre, dando a lei e non più solamente al padre una centralità nel processo di filiazione e di umanizzazione alla vita, e dimostrando come la dedizione della madre alla cura del figlio non sia in contrasto con l’affermazione personale della donna, mostrando come l’amore materno non escluda mai l’ambivalenza e la sua divisone interna.

Gli esperti della “psiche” possono ritrovare in Recalcati la capacità di farsi erede ed interprete degli elaborati concetti di Lacan legati al ruolo e alla funzione materna, all’interno di un vertice psicoanalitico, e portando il lettore al cinema, tra le pagine della Bibbia, nella propria stanza d’analisi ed anche tra i propri ricordi d’infanzia, li ripropone in una maniera comprensibile ed attuale.
Le madri che leggono questo libro hanno invece la possibilità di vedersi rispecchiato e risignificato il volto della propria maternità, un volto appagato, disorientato, a volte stanco o arrabbiato, eccitato o addirittura angosciato oppure desiderante ed amorevole.

Quindi di giocare con lo specchio e chiedersi: che tipo di mamma sono? mamma coccodrillo? mamma narciso? mamma chioccia? mamma piovra? e scoprendo di ritrovarsi spesso addosso sfumature a volte dell’uno altre volte dell’altro bestiario.

Specchio specchio delle mie brame, com’è la mamma ideale, perfetta? si può chiedere una donna alle prese con la sua maternità.
Recalcati, andando oltre i luoghi comuni, anche della psicoanalisi, vuole essere giusto verso la madre e prova a rispondere parlando della madre “sufficientemente buona”: la madre non deve sopprimere la donna e la donna non deve negare la madre.
La madre idealizzata come tutta amore è una madre cannibale, che alimenta fantasmi di onnipotenza mentre una donna che investe solo su di sé può vivere il figlio come ostacolo e può creare nel bambino angosce abbandoniche.
La madre che si tratta nel libro non è tanto la madre biologica, ma è la madre del desiderio, quella cioè che permette al bambino di accede al mondo simbolico.

Madre è il nome del primo Altro che risponde al grido della vita; quindi la maternità viene emancipata dalla biologia.
Un pregiudizio che era legato alla cultura patriarcale attribuiva alla madre una funzione esclusiva nella cura dei figli, e non assegnava il giusto peso alla necessità che il figlio sia frutto di due e mai di uno solo.

Nell’epoca attuale invece alla madre del sacrificio si è sostituita la madre narcisistica, figlia dell’ideologia del ’68 e del ’77, madre che ha il culto della propria libertà ed emancipazione e può arrivare a rifiutare l’allattamento per non danneggiare l’immagine estetica.
Seguendo il pensiero di Lacan, l’esistenza del desiderio della donna come non tutto assorbito in quello della madre sia la condizione necessaria affinché il desiderio della madre possa essere generativo.

Recalcati raccogliendo l’eredità della psicoanalisi, dei suoi genitori, delle sue pazienti esplora in maniera rispettosa ed esaustiva la vocazione-desiderio della madre, si sofferma nella seconda parte sulle ombre che si addensano sulla maternità, e nell’ultima parte sottolinea quanto quello che si è ereditato come figli, se non viene riconquistato e rielaborato, resta un’impronta inconscia che lascia traccia sulla relazione che il neo genitore costruisce col figlio atteso, immaginato, neonato o mai nato.

E’ proprio partendo da un ricordo con la propria madre che Recalcati inizia il libro e ne dà il titolo.
Recalcati bambino che guarda con la propria madre una fiction in TV, “La madre di Torino”, di Gianni Bongiovanni, dove si narra di un episodio di cronaca: una giovane madre sta guardando il figlio giocare sul terrazzo. Poi la madre non lo trova più, lo vede penzolare nel vuoto aggrappato alla ringhiera.
La madre lo afferra, il figlio è appeso alle mani della madre. I due gridano, chiedono aiuto, il tempo passa. Finalmente vengono soccorsi, salvati, separati.

Questo ricordo introduce il concetto che la madre è il nome dell’Altro che non lascia che la vita cada nel vuoto del non senso.

Il desiderio

Maternità non è solo un accadimento che colpisce il corpo, contempla per primo il desierio della madre.
E’ il desiderio della madre che trasmette al figlio il sentimento della vita.

Ma cos’è questo desiderio?
Lacan distingue il desiderio dall’istinto materno, perché il desiderio sorge dall’inconscio come una vocazione, che si nutre dei sogni, attese e fantasmi di ogni madre.
Affinché l’utero possa ospitare la vita che viene al mondo e non rigettarla come corpo estraneo, è necessario che vi sia il desiderio da parte della madre di offrire questa ospitalità.

E’ l’attesa della madre che prepara un posto nel mondo a chi è già nel mondo senza esserci ancora.
Il figlio non è ancora nato e già si sceglie il suo nome, si prepara la stanza. L’attesa è già un’interpretazione dell’assenza del figlio.
L’attesa non si esaurisce con la nascita del figlio. Una madre fà infinite volte l’esperienza dell’attesa, dall’attesa delle ciglia che compaiono nelle prime settimane di vita a quella della parola.

Una madre sufficientemente buona, come intende Winnicott, contempla la perdita del figlio, la sua separazione. L’ospitalità senza proprietà definisce la madre come la responsabilità senza proprietà definisce il padre.
Recalcati declina nel libro il desiderio in diversi tratti della madre.

Ci sono le mani della madre, mani soccorritrici, mani come la pianta che sa custodire la rugiada della vita e il venire del giorno.
La madre è il primo soccorritore, come lo definisce Freud, chi per primo risponde al grido attraverso il quale la vita chiede di venire al mondo.
Mani intese anche come strumento attraverso cui passa la cura per il bambino, dove c’è già scambio di significati, “la lingua”, perché mentre si occupa della cura del suo bambino la madre porta la parola.

Poi c’è il volto della madre, volto come specchio per il figlio della propria immagine e del mondo.
La nostra identità si costituisce attraverso l’incontro con lo sguardo dell’altro.
Ciascuno di noi si vede per come è stato visto dall’altro. Lo sguardo materno fonda la nostra immagine e l’amabilità o meno della nostra immagine.
Il volto materno non è solo lo specchio che mi consente di vedermi per come sono: un bambino attraverso il volto della madre incontra il volto del mondo. Se lo sguardo della madre è angosciato, il mondo incarnerà una minaccia imminente.
Il terzo tratto che riflette il desiderio della madre ha a che fare col seno, seno inteso come nutrimento, madre che soddisfa il bisogno. Ma seno anche come segno, è quando il bambino resta attaccato al capezzolo anche quando non ha fame.
Il seno quindi diventa segno della presenza della madre, del suo desiderio.

Il bambino ha la necessità di sentirsi desiderato. La natura dell’amore materno rende ogni figlio sempre figlio unico, il desiderio della madre è desiderio di quella vita.
Donare il seno come segno significa donare la propria mancanza, come dice Lacan.

Una madre sufficientemente buona è una madre che sa donare al figlio quello che non ha, far sentire al figlio che la sua nascita ha trasformato in modo irreversibile il mondo. La generazione è far ricominciare il mondo.

Se la madre del seno agisce secondo l’avere, offre quello che ha, quella del segno agisce secondo la propria mancanza, dà quello che non ha facendo sentire il proprio figlio come insostituibile, è il segno che può riconoscerlo come soggetto, separato e non di sua proprietà.
Il fantasma di ogni bambino sta nella domanda: tu puoi perdermi?
Se io scompaio per te il mondo è come prima? Nell’anoressia infantile questa paura raggiunge forma radicalissime: Se io muoio senti la mia mancanza? Oppure la si vede negli adolescenti quando immaginano il proprio funerale per vedere se gli altri sentono la mancanza.
Già l’attesa di per sé non è mai padrona di ciò che attende, è un andare verso un’apertura. Essere madre non significa coltivare il proprio ma aprirsi all’Altro.

Altro tratto fondamentale della maternità è l’assenza.
Un madre sufficientemente buona alterna la sua presenza con l’assenza: una madre troppo presente diventa come il grande fratello, una madre che non lascia respirare. Una madre assente è una madre abbandonica, che lascia cadere il bambino nel vuoto. Il dono materno sta nell’alternare la presenza con l’assenza, altrimenti il piccolo Ernst di Freud non può inventarsi il gioco del rocchetto che gli permette di arginare l’angoscia dell’abbandono.

Infine c’è il nome, l’amore materno è amore per il nome, per il carattere insostituibile del figlio, quindi non per il figlio ideale ma per quello reale, per il particolare, ben riassunto dal detto napoletano “Ogni scarrafone è bello a mamma sua”

Le ombre

Ci sono le ombre che si addensano nella maternità, che possono causare delle patologie, sia nella madre (è il caso della sterilità psicogena o in alcune depressioni post-partum) sia di riflesso anche nel bambino (i sintomi dei bambini sono spesso rappresentazioni dell’inconscio della madre).

C’è l’ombra della mamma coccodrillo come fantasma della fusione madre-bambino, dell’amore senza limiti che sequestra il desiderio del figlio rendendolo impossibile, amore che sa generare nel figlio solo schiavitù e dipendenze patologiche.
Il figlio diventa supporto narcisistico della madre, il suo fallo.

Solo chi sa perdere chi ha generato è madre autentica, come viene rievocato nell’episodio biblico del giudizio del re Salomone e delle due madri che si contendono lo stesso bambino.
E c’è l’ombra della madre narciso che evoca la tragica furia della Medea di Euripide, dove la madre è cancellata dalla donna. Qui il bambino diventa causa della mortificazione del corpo femminile.

In certe sterilità isteriche la donna ipermoderna, per difendere il valore fallico-narcisistico del proprio corpo, può rifiutare inconsciamente l’idea della maternità perché vissuta come castrazione del proprio essere, della propria immagine.
Molte depressioni post partum parlano del rifiuto del bambino reale di fronte alla rappresentazione idealizzata del bambino immaginario (“il bambino della notte” di Silvia Veggetti Finzi) che addirittura può arrivare all’atto crudele dell’infanticidio.

Nel film Mommy di Xavier Dolan del 2004 si può notare un rapporto simbiotico madre- figlio (diagnosticato con disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività) che annulla ogni alterità, dove l’eccessiva idealizzazione del figlio fa sì che al figlio non resti nessuna possibilità che identificarsi con la rappresentazione maniacalizzante che di lui gli restituisce la madre, e successivamente la rinuncia della madre ad occuparsi del figlio, internandolo in istituto.
In questo film si nota come l’amore materno non è quello che salva dalla malattia ma è proprio il suo carattere incestuoso e senza limiti a generare e a preservare la malattia.

L’eredità

Arriviamo alla terza parte, l’eredità.
Essere eredi significa essere eretici, nel senso di fare nostro in modo differente ciò che l’altro ci ha lasciato.
L’eredità paterna trasmette il senso della legge, la legge come possibilità del desiderio.
L’eredità materna è il senso di un’ospitalità senza proprietà, è il sentimento della vita.

Ecco perché le depressioni materne sono pericolose sui bambini perché viene meno il sentimento della vita.
Oppure i casi delle madri narcisistiche, dove il rapporto madre-figlia viene compromesso come nel film di Bergman “Sinfonia d’autunno”, illustra l’assenza di attenzione materna verso la particolarità della figlia.

Numerose sono le figlie a cui è stato negato l’accesso a nascere come donne: figlie che si sentono inadeguate, o che si sacrificano, o che sono l’ombra della propria madre, o che ripetono il godimento perverso della propria madre a cui non riescono a separarsi.
Così Rebecca che senza saperlo ha sposato un ex amante della madre, vorrebbe essere l’ideale irraggiungibile della madre ma può vivere solo nella sua ombra, mentre Charlotte trasmette alla figlia la sua spinta alla perfezione.
Ma il problema di questo fallimento dell’eredità non sta solo nella madre, ma anche nella figlia che non riesce ad elaborare il lutto della madre.
Più c’è stata frustrazione della domanda d’amore più il lutto della separazione risulta inaccessibile: una sterile rivendicazione recriminativa inchioda il soggetto ad una lamentazione infinita, che Lacan chiama ravage.

Il ravage è un elemento caratteristico del legame della donna con sua madre, che può spostarsi anche sul partner per la difficoltà insita nel processo di soggettivazione del desiderio femminile. Difficoltà che porta alcune donne a piegarsi alla violenza maschile nell’illusione di trovare una risposta al loro desiderio.
Mentre il rapporto madre-figlio si struttura sulla tendenza incestuosa alla sua erotizzazione e di conseguenza alla sua interdizione, la figlia è più esposta alla caduta nelle spirali distruttive del godimento materno.
Una figlia non si separa mai del tutto dalla propria madre, perché tanto reclama la sua separazione dalla madre, tanto non può vivere senza di lei.
Il suo lutto per il primo oggetto d’amore non si compie mai definitivamente, madre e figlia è una storia che non avrà mai fine, invoca Eva in Sinfonie d’Autunno.

Se per Freud era un residuo dell’attaccamento pre-edipico alla madre, per Lacan ravage mette in evidenza come in ogni figlia ci sia una difficoltà specifica nell’elaborazione del lutto del primo oggetto d’amore perché c’è un’attesa delusa: la madre non ha dato alla figlia la risposta su cosa sia davvero una donna, non ha fornito il mistero della femminilità.
Affinché ci sia eredità, affinché una trasmissione di sapere sia possibile (tesi ben trattata nel libro di Recalcati “l’ora di lezione”), l’Altro non si deve porre come colui che detiene il sapere in toto, ma come colui che è consapevole dell’impossibilità di possederne la chiave, che è in contatto con la propria mancanza.

Non è la madre fallica che detiene il sapere, ma la madre che sa donare alla figlia la propria mancanza.
La riconquista dell’eredità materna la si ritrova anche nei due film di Alina Marazzi, “un’ora sola ti vorrei” e “tutto parla di te”, dove viene messa in luce la profonda solitudine della madre ma dove la figlia cerca, in un originalissimo lavoro di lutto, di ricostruire l’immagine della propria madre, almeno per un’ora, di riunificare i frammenti del passato che parlano di lei perché per la figlia l’incontro con la madre è stato un incontro mancato.

Qui la tesi è che ogni madre abita il confine sottilissimo che separa la vita dalla morte.
C’è un momento del parto, descritto spesso dalle pazienti di Recalcati, in cui la donna sente che deve spingere fuori perché se non si svuota la vita può morire.
La spinta della madre che porta il bambino alla luce del mondo che lo fa essere del mondo, questo è il dono della libertà.

 

 

Bibliografia

 

Fornari F. (2011), Il codice vivente, Femminilità e maternità nei sogni della madre in gravidanza, in Scritti scelti. Raffaello Cortina Editore, Milano

Freud S. (1982), Progetto di una psicologia in Opere vol.2. Bollati Boringhieri Editore, Torino.

Lacan J. (1976) , Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io in Scritti. A cura di Giacomo B. Contri. Einaudi Editore, Torino.

Recalcati M. (2014) Non è più come prima. L’elogio del perdono nella vita amorosa. Raffaello Cortina Editore, Torino.

Recalcati M. (2014) L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento. Giulio Einaudi Editore, Torino.

Recalcati M. (2015), Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno. Giangiacomo Feltrinelli Eitore, Milano

Veggetti Finzi S. (1990), Il bambino nella notte. Divenire donna, divenire madre. Mondadori Editore, Milano.

Winnicott D.W. (2001), Gioco e realtà. Armando Editore, Roma.

 

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