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Ixanul – Vulcano

Jayro Bustamante (Francia, Guatemala, 2015)  Orso d’Argento, 65° Festival di Berlino

“Ci vogliono parecchi luoghi dentro di sé per avere qualche speranza di essere se stessi ” (J.B. Pontalis)

 

Il terzo incontro della nostra rassegna il 23 novembre ci ha proiettati in una terra molto lontana, situata nella natura impervia e selvaggia alle pendici di Ixcanul, vulcano guatemalteco ancora attivo, immerso nell’atmosfera ancestrale di miti originari, di tradizioni e rituali antichissimi. In questo luogo, grazie alla forza evocatrice delle immagini sullo schermo e il pathos del dramma che travolge Maria, la giovane protagonista del film, abbiamo esplorato la sacralità del femminile, le intense e profonde sfumature della relazione fra una madre e una figlia che pure sta diventando madre, la forza e la sapienza del corpo tramandate da donna a donna, che per noi qui, nei ritmi innaturali, voraci e depersonalizzanti del mondo occidentale, sono ormai stemperate, se non dimenticate.

A farci da guida attraverso questi perturbanti paesaggi geografici, etnici, psichici, emozionali è stata Mara Mabilia, antropologa, già professore universitario e attualmente docente al Master di Studi Interculturali presso l’Università di Padova, le cui competenze spaziano dall’antropologia culturale, a quella sociale e medica, con particolare attenzione alle problematiche dell’inter-culturalità e di genere, dell’identità e della multi-culturalità.

Con lei si è potuto rivolgere uno sguardo-conoscenza verso un femminile che è altro da noi, straniero, eppure, e proprio per questo, che ha potuto evocare e rappresentare anche qualcosa di noi stessi, che comunque ci appartiene, qualcosa di non- conosciuto, eppure anche riconoscibile in noi, qualcosa di passato e di presente. E tutto questo in un percorso che prende avvio dal significato del titolo originale del film Ixcanul: il prefisso ix indica il genere femminile e canul la forza interna che spinge per uscire all’esterno. È dunque femminile il vulcano che, come il corpo della donna, ha in sé la forza generatrice.

Il mio corpo brucia come il vulcano” è l’espressione di Maria mentre accarezza con la madre, avvolte dai vapori della grotta vulcanica, il ventre gravido ormai prossimo al parto.

Il vulcano è Maria, in lei è il magma” dichiara il regista Bustamante che, conoscendo quei luoghi e tradizioni fin dall’adolescenza, grazie alla propria madre maya, medico sociale, ha voluto girare questo suo primo film nell’ultimo villaggio dei Maya Kaqchiquel; raccoglitori di caffè, che parlano soltanto la lingua autoctona e combattono una guerra persa contro serpenti velenosi che infestano il territorio. È qui, dove la fatica quotidiana scandisce il loro sopravvivere, che i genitori di Maria desiderano per lei una vita migliore, destinandola in sposa al sopraintendente della piantagione, il solo che conosce anche lo spagnolo e ha contatti con la città lontana. Ma i sogni della ragazza sono altrove, oltre il vulcano, verso quel mondo “con l’elettricità, l’acqua corrente, i soldi” dove potrà fuggire insieme a un coetaneo, all’unica condizione di essere “gentile con lui”. Invece, il ragazzo tradisce la parola data, anche quella che “la prima volta non succede niente” e il ventre di Maria crescerà … Cresce “il fuoco della vita dentro”, come le dice la madre, e a nulla valgono i tentativi di spegnerlo pur di concludere l’accordo matrimoniale già pattuito.

Da qui, la storia di Maria e della vita dentro di lei, si dipanano lungo un drammatico intreccio di vicende fra le tradizioni millenarie della sua etnia, con i demoni della modernità, della colonizzazione interna e della globalizzazione che le hanno travolte, che le hanno tradite e violate.

(Vedi anche spiweb)

 

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