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Il femminicidio

di Elisabetta Marchiori e Alessandra Sala

 

Quello della violenza di genere è un fenomeno con cui la società è stata costretta a confrontarsi apertamente solo dagli anni ‘70, grazie al movimento femminista. Sino ad allora era stata una realtà misconosciuta ed è a tutt’oggi sommersa, a causa della tolleranza e dell’omertà politica, culturale e sociale in cui è radicata e che necessita ancora di profondi cambiamenti per essere affrontata.

Nonostante l’evoluzione dello status femminile avvenuto negli ultimi cent’anni, dal diritto di voto alle pari opportunità, non sono state affatto eliminate le diseguaglianze di genere, nel rispetto delle differenze.

Sono necessarie pertanto un’adeguata sensibilizzazione, informazioni, conoscenze, consapevolezza e strumenti adeguati per affrontare le conseguenze delle violenze, soprattutto nelle donne e nei bambini, e strategie educative e di prevenzione rivolte a tutti, con una sensibilizzazione degli uomini e centri di recupero per i violenti.

Questioni verso le quali si rivolge l’impegno di Kairos “l’aiuto giusto al momento giusto”.

Il termine femminicidio è un neologismo coniato per indicare specificamente la violenza psicologica, fisica e sessuale perpetrata contro le donne, considerata la violazione dei diritti umani attualmente più diffusa, sistematica e sottostimata. Esso ne mette in evidenza la realtà e la illegittimità, oltre che distinguerla chiaramente dai reati contro la persona e differenziarla dalla generalità degli omicidi.

La sua specificità ha radici culturali, sociali e politiche profonde e si realizza nel rapporto tra uomini e donne che “è per sua natura così viscerale e carico di fantasmi da mobilitare con forza estrema tutta la gamma delle possibili angosce e tutto il repertorio dell’aggressività” (Bolognini, 2014).

Tale agghiacciante repertorio si può manifestare all’interno della famiglia o della coppia – la violenza domestica – oppure al di fuori, in modo eclatante o subdolo e lentamente progressivo. Dallo stalking al femmicidio, ovvero all’uccisione della donna (in analogia con omicidio), dalle percosse ai maltrattamenti all’induzione del suicidio, dall’incesto allo stupro, questo continuum di abusi maschili sul corpo e la mente delle donne viene compiuta per la gratificazione di ostilità, rabbia, desiderio di potere, fino a diventare mezzo di vendetta e intimidazione o vera e propria arma di guerra, strumento terroristico commesso non solo contro la persona, ma teso ad umiliare, avvilire e terrorizzare interi gruppi sociali.

Nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha presentato il primo rapporto mondiale su violenza e salute, che sancisce il principio che la violenza è, in tutto il mondo, un problema primario di salute pubblica, da prevenire e curare (Malacrea, 2006).

In Italia il decreto sul femminicidio, stilato sulla base delle indicazioni della Convenzione del Consiglio d’Europa, fatta ad Istanbul l’11 maggio 2011, concernente la lotta contro la violenza contro le donne, è diventato legge con il voto del Senato nell’ottobre 201). Esso prevede nuove aggravanti e nuove misure a tutela delle vittime di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori, puntando non punta solo alla repressione, ma prevedendo anche risorse per finanziare un piano d’azione antiviolenza, una rete di case-rifugio e l’estensione del gratuito patrocinio. (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-10-11/femminicidio).

 

Alcuni dati epidemiologici aiutano a comprendere l’entità del fenomeno, tenendo conto che tali numeri sono fortemente sottostimati, a causa delle mancate denunce.

In Europa la violenza è la prima causa di morte e invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni (Osservatorio criminologico e multidisciplinare sulla violenza di genere, Consiglio d’Europa); a conferma di ciò vi è il dato che il 19-30% delle donne che accedono al Pronto Soccorso hanno una storia di violenza domestica.

Secondo un’indagine europea del 2012 che ha coinvolto più di 40000 donne, nei 12 mesi precedenti il 4% delle intervistate aveva subito violenze fisiche o sessuali, il 5% stalking; complessivamente nel corso della vita il 19% delle donne aveva subito violenze fisiche o sessuali e il 38% abusi psicologici (quali, a titolo di esempio, umiliazioni, minacce, ricatti, venir terrorizzate, esser chiuse in casa/fuori casa, forzate a guardare materiale pornografico).

In Italia, nel 2013, 179 donne sono state uccise, con un aumento del 14% rispetto l’anno precedente; in 7 casi su 10 (68,2%) i femminicidi si sono consumati all’interno del contesto familiare o affettivo, con un incremento del 6,2% (Rapporto sul femminicidio in Italia, Eures 2014).

Per quanto concerne i minori, tra il 40 e il 60% dei partner violenti con le donne lo sono anche con i bambini e gli abusi sessuali paterni sono più probabili quando la madre è maltrattata (OMS, 2010). Nel 62% dei casi gli episodi di violenza sulle donne da parte del partner sono avvenuti in presenza di figli minorenni (fenomeno della “violenza assistita”). Le ricerche concordano che le violenze sono trasversali alla posizione sociale, che non ci sono differenze significative rispetto all’età, l’istruzione o l’occupazione, mentre si rilevano differenze correlate alle caratteristiche di chi perpetra le violenze: fattori stressanti, uso di droghe e alcol, attitudine alla violenza, background familiare di vittimizzazione o testimonianza di abusi.

Anche per le donne esistono fattori di rischio alla vittimizzazione, come l’essere testimone di violenza, una bassa autostima e una tendenza alla dipendenza psicologica, che rendono difficile interrompere la relazione con partner violenti, tuttavia non sono state individuate specifiche caratteristiche che predicano il subire violenze.

Si deve tenere presente che il fenomeno è estremamente complesso e plurideterminato.

 

Le conseguenze fisiche subite dalle vittime di violenza, che possono culminare con la perdita della vita, sono molteplici e di variabile gravità.

Qui vogliamo mettere in evidenza, sinteticamente, quelle che possono essere le conseguenze psicologiche, a breve e lungo termine, delle violenze di diversa gravità, su sono stati pubblicati moltissimi studi.

La condizione della vittima di violenza domestica viene definita “Sindrome della Sposa Malmenta”, caratterizzata da umore depresso, ansia, ideazione suicidaria, bassa autostima, dissociazione, Disturbo Acuto da Stress e Disturbo Post-Traumatico da stress.

Anche per le vittime di violenza sessuale è stata individuata, nel 1974, una sindrome specifica, definita “del Trauma di Stupro” come un complesso sintomatologico fatto di comportamenti e fantasie, inscindibili gli uni dalle altre. La violenza sessuale, infatti, porta in sé minacce di morte e mutilazioni, rappresenta una massiccia aggressione da parte dell’ambiente e la violazione dei confini del corpo, comporta lo schiacciamento delle funzioni dell’Io, la perdita di controllo, una profonda regressione, l’attivazione di conflitti inconsci e fantasie a diversi livelli, sensi di colpa e identificazione con l’aggressore, con sintomi ansiosi e depressivi, nonché dissociativi, anche gravi. Rispetto alle modalità comportamentali sono stati rilevati importanti problemi relazionali, acting-out suicidari, abuso d’alcool e sostanze stupefacenti, prostituzione, rivittimizzazione. Attualmente, il quadro di Disturbo Post Traumatico da Stress appare a ricercatori e clinici come una griglia di riferimento soddisfacente per inquadrare la psicopatologia presentata dalle vittime di violenza recente. A lungo termine, oltre che una cronicizzazione del DPTS, possono svilupparsi altri disturbi con importanti componenti dissociative, quali amnesie, Disturbo di Personalità Borderline e di Personalità Multipla, nonché altri disturbi, di tipo depressivo, ansioso, alimentare, psicosomatico (dolori cronici, in particolare in sede pelvica e disturbi gastro-intestinali senza cause organiche riconosciute).

Tra questi estremi, situazioni che si ripetono in sordina, dallo stalking alle umiliazioni quotidiane che producono microtraumi cumulativi, all’assoggettamento psicologico inapparente alle molestie sessuali, anche verbali, sul luogo di lavoro, portano a manifestazioni più o meno gravi e strutturate di disturbi psichici, che richiedono cure mediche, psicologiche e assistenza, con costi enormi per la vittima e l’intera società.

 

La genesi e la gravità dello sviluppo di tali psicopatologie appare plurideterminata da fattori che si influenzano tra loro in modo complesso, tra cui i più importanti sono le caratteristiche della violenza, l’identità dell’aggressore, l’età della vittima e il suo stato psichico antecedente, il supporto familiare e sociale, le cure ricevute. L’uso della forza fisica, un serio pericolo di vita e la ripetizione del tempo sono stati individuati come criteri prognostici negativi, così come il fatto che l’aggressore sia un conoscente o un famigliare stretto. Gli effetti di traumi sessuali sono tanto più devastanti quanto più giovane è la vittima, poiché compromettono lo sviluppo della personalità e l’individuazione dell’identità personale. Fattori prognostici positivi sono la presenza di relazioni familiari e sociali supportive           e aver ricevuto tempestivamente cure appropriate.

Le possibili e drammatiche conseguenze della violenza di genere sono ancora oggi misconosciute e banalizzate attraverso atteggiamenti e convinzioni radicate che tendono a svalutare la vittima e a giustificare l’aggressore. I fatti di cronaca proposti con ogni strumento di informazione in maniera ridondante, stereotipata, privati teoricamente da quell’eccezionalità e marginalità che sembravano caratterizzare questi eventi, non sono a tutt’oggi determinanti nella comprensione di questa “barbarie silenziosa” (Alba Arena, 1914).

Tanti sono i contributi della ricerca assolutamente indispensabili per approfondire scientificamente e concettualmente il problema. Rimane però sotteso il pericolo che tali contributi possano dare solo parzialmente indicazioni utili su come affrontare il problema, soprattutto dal punto di vista preventivo, se manca la comprensione a livello macro e micro sociale

Un maggiore coinvolgimento culturale ed emotivo appare necessario per non rendere sterili le ricerche, i modelli clinici di diagnosi e trattamento, le proposte di prevenzione.

La clinica e la ricerca mostrano che una presa in carico adeguata, tempestiva ed integrata, fisica e psichica della vittima e l’attenzione ai suoi bisogni, non solo da parte di operatori, ma anche di quanti, parenti, partner e amici sono ad essa vicini, appaiono determinanti per un esito favorevole e per la prevenzione di psicopatologie strutturate.

Bisogna tuttavia oggi porre attenzione alle origini del fenomeno. Come sostengono le scrittrici e giornaliste Lydia Cacho e Concita De Gregorio (la Repubblica, 21 novembre 2014) “si deve ripartire dai bambini”: proporre una nuova educazione sentimentale che modifichi l’assegnazione dei ruoli. Più che cambiare le leggi, bisogna cambiare “le teste”.

 

Link:

– la pagina dedicata sul nostro sito

– per un’ottica psicoanalitica sul femminicidio:Società Psicoanalitica Italiana dossier Femminicidio

– per i dati relativi ai risultati dell’indagine europea sulla violenza contro le donne

– per riferimenti a Centri Antiviolenza: D.i.Re Donne in Rete contro la violenza e il numero verde

– sulla convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul)

– sito in particolare rivolto ad adolescenti “No alla Violenza, io esigo rispetto

 

 

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